Lo studio strategico dei progetti di people raising
Terzo seminario del corso di formazione "DonAzioni una rete per il futuro"
13 febbraio 2018
E’ stata affidata a Raffaele Lombardi dell’Università La Sapienza di Roma e a Francesca Casini di Legambiente Siena la terza ed ultima sessione del corso di formazione “DonAzioni una rete per il futuro” organizzato da Avis Toscana, Fratres Toscana e Anpas Toscana in collaborazione con il Centro Regionale Sangue e il Cesvot e svoltosi nella sede della Misericordia senese.
Dopo quest’ultima lezione, le testimonianze e i lavori di gruppo svolti, i partecipanti si ritroveranno per il seminario conclusivo il 3 marzo al Teatro Verdi di Casciana Terme per una restituzione complessiva del percorso.
Secondo Lombardi quando un’associazione decide di cercare e accogliere dei nuovi volontari dovrebbe innanzitutto procedere con un progetto preciso e accurato che consenta di far collimare obiettivi individuali e dell’organizzazione. Cosa può apportare a comunicazione all’interno del processo di people raising?
Sembra banale, ma non lo è. Prima di ogni cosa occorre definire ed esplicitare la corporate identity, poi definire il profilo del volontario , pianificare la comunicazione in modo che ne aumenti la visibilità e da ultimo organizzare un sistema di accoglienza e formazione dei nuovi volontari.
Il primo problema che spesso viene rilevato è che le organizzazioni di volontariato spesso confondono la comunicazione con la sua pubblicizzazione. Sono due livelli completamente separati, il primo attiene al livello strategico, il secondo a quello operativo. Nei progetti di people raising lo studio strategico spesso è assente e i progetti risultano fallimentari.
Altro aspetto: identità, immagine e reputazione debbono essere coordinati. Il volontario può anche decidere di mettere a disposizione dell’associazione il suo tempo, ma l’organizzazione conosce la sua identità? Quanto viene percepito su di noi dai pubblici? Se c’è un gap tra identità e immagine ci troviamo di fronte ad un primo problema per la ricerca dei volontari. Sono comunque aspetti sui quali si può lavorare e migliorare nel tempo con azioni di comunicazione. Sulla reputazione, invece non si può intervenire, in quanto quest’ultima è data da comportamenti reiterati nel tempo e può aumentare o diminuire in seguito ad essi. La reputazione buona porta nuovi volontari quella cattiva, no.
Un altro errore da evitare che Lombardi evidenzia è quello di concepire il lavoro di comunicazione come attività da rivolgere solo all’esterno. Così non è: il mezzo più efficace resta quello della comunicazione interpersonale “il passaparola” funziona moltissimo soprattutto nei contesti e territori più piccoli.
E necessario anche interrogarsi non solo sull’ingresso in associazione di un volontario, ma anche alla sua uscita. Le organizzazioni modello “setta” – quando si è fuori non si è più volontari – interrompono il legame comunitario, che dovrebbe essere comunque mantenuto. Se si parla bene dentro, si parlerà bene dell’organizzazione anche fuori. Ciò diviene ancora più importante quando si cercano nuovi giovani volontari: se si è fatta comunità il giovane vuole farne parte e si sente gratificato dal farne parte. Se non si è fatta comunità, l’associazione non riesce a proporre nulla di diverso dalle tantissime altre proposte rivolte ai giovani presenti sul territorio.
Quindi, cosa dovrebbe offrire un’associazione a un giovane? Sono essenziali le occasioni per considerarli e valorizzarli ad esempio dando loro la possibilità di prendere parte a progetti complessi e dando loro la possibilità di esprimere le loro competenze. A ciò vanno aggiunti le occasioni di incontro con i dirigenti più anziani e la formazione, che resta sempre il primo passo da compiere in un progetto di people raising.
Sul tema specifico della comunicazione di un’organizzazione di Terzo Settore, Lombardi rileva che spesso i giovani vengono messi a gestire i social senza formarli. E’ un errore comune, ma da evitare. Questo perché la comunicazione va gestita in modo complessivo con una persona più esperta che abbia una visione complessiva del tutto. Formarli e responsabilizzarli sulla comunicazione, al contrario, significa non farli andare via quando ci saranno nuovi strumenti da usare, significa acquisire competenze che per i giovani risultano importanti tanto quanto l’aspetto valoriale del fare , agre e appartenere al mondo del volontariato. Procedendo in questo modo, nel lungo periodo si otterranno: l’aumento della motivazione, il rafforzamento del coinvolgimento, l’intensificazione dell’impegno.
Ottimale sarebbe che in ogni ente ci fosse un team che accolga i giovani formato da soci anziani e da una persona di riferimento all’interno che siano in grado di adeguare il linguaggio e di far leva anche sui benefici che i giovani stessi possono trarre nel fare volontariato.
(VB)
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