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Plasma: le sfide globali per un sistema autosufficiente

Cronaca del convegno tenutosi a Roma

27 giugno 2018

L’importanza di incrementare la raccolta di plasma a livello globale è un dato di fatto su cui da tempo stanno lavorando governi, società scientifiche e associazioni di volontariato di tutto il mondo. Quali strategie occorre mettere in atto per raggiungere questo traguardo? Questa è stata la domanda al centro del convegno “Esserci per qualcun altro. Dona plasma, condividi la vita”, tenutosi all’Istituto Superiore di Sanità a Roma lo scorso 15 giugno in occasione della Giornata Mondiale del Donatore 2018. Promosso dal Centro Nazionale Sangue e dalla FIODS – Federazione Internazionale delle Organizzazioni di Donatori di Sangue, l’evento ha visto la partecipazione di nomi di spicco del volontariato e del settore trasfusionale internazionale e italiano.

Per comprendere meglio il contesto di riferimento, il direttore dell’International Plasma Fractionation Association, Paul Strengers, ha ricordato come attualmente il 4,5% della popolazione mondiale, concentrata negli Stati Uniti, contribuisca a oltre il 60% della raccolta plasma complessiva. «È più che mai essenziale – ha sottolineato Stengers – limitare la dipendenza da un unico Paese, perché ci pone di fronte a grossi pericoli per la tenuta di tutto il sistema. Se la disponibilità di plasma raccolto negli USA dovesse subire un calo, le altre nazioni correrebbero dei rischi enormi. È una cosa che non possiamo permetterci e per questo motivo tutti i governi dovrebbero iniziare seriamente a considerare questo insostituibile emocomponente come una delle risorse strategiche per la sopravvivenza dei propri cittadini, alla stregua di altri generi di prima necessità come l’acqua».

Un’analisi sugli scenari futuri è stata offerta anche da Patrick Robert, presidente del Marketing Research Bureau, specializzato in analisi di mercato legate al sangue e agli emoderivati. «La domanda di alcuni medicinali plasmaderivati come le immunoglobuline polivalenti, i fattori della coagulazione e l’albumina è destinata a crescere ancora di più nei prossimi anni. Entro il 2024 il fabbisogno di plasma da inviare al frazionamento aumenterà di circa 20 milioni di litri e bisognerà incentivare notevolmente le aferesi perché il plasma ottenuto dalle donazioni di sangue intero non potrà fronteggiare la richiesta».

Un problema, quest’ultimo, affrontato ampiamente anche nel Programma Nazionale Plasma e Medicinali Plasmaderivati per il periodo 2016-2020, che evidenzia come anche in Italia, così come negli altri Stati con elevato indice di sviluppo economico, si osservi «una flessione nella raccolta di plasma da separazione a causa della diminuzione della raccolta di sangue intero per riduzione della domanda, anche a seguito dell’adozione di politiche di Patient Blood Management (PBM), volti a implementare metodi e strumenti per garantire l’appropriatezza della gestione […] della risorsa sangue».

Di fronte a queste sfide, come si pone il nostro Paese?

«Parole chiave devono essere l’efficienza e la stabilità di tutto il sistema», ha sottolineato Pasquale Colamartino, responsabile del Centro Regionale Sangue Abruzzo. «Il modello italiano ha una grandissima peculiarità: il plasma e sui derivati sono di proprietà pubblica. L’autosufficienza è un obiettivo a cui bisogna arrivare tutti insieme, con sperimentazioni gestionali locali che possano poi diventare un cammino virtuoso a livello nazionale». E sono tante le buone prassi che si stanno facendo strada nel nostro Paese e che sono state illustrare nel corso del convegno. Come il modello marchigiano, che ha permesso a questa regione di ottenere il primato italiano nel conferimento del plasma all’industria ogni 1000 abitanti (22 chili, dati del Rapporto ISTISAN relativo all’anno 2015) e quello veneto, che ha studiato diverse soluzioni per cercare di aumentare la quantità di plasma donato limitando il più possibile le reazioni avverse.

Da più parti, inoltre, è stata espressa la necessità di porre maggiormente al centro dell’attenzione il donatore e le sue necessità. «Per il futuro – ha sottolineato Gianpietro Briola, chiamato a illustrare il modello organizzativo di Avis Provinciale Brescia – auspichiamo maggiore flessibilità negli orari di apertura dei centri di raccolta, in modo da favorire l’accesso soprattutto di chi lavora e non può o non vuole utilizzare i permessi per donare». Un sistema che guardi ai risultati, quindi, senza dimenticarsi di chi rende tutto ciò possibile: i donatori che, in modo silenzioso, danno una parte di sé agli altri. Una parte preziosa perché insostituibile e perché donata in modo volontario, anonimo, non retribuito, responsabile, periodico e associato.

da AVIS SOS di Boris Zuccon

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